Anni '80, nel cuore del Polesine, in una via chiamata in tanta malóra, lontana diversi chilometri dal centro abitato. Là, ci vivono otto famiglie: una di queste, soprannominata Beléssa, è composta da marito, moglie e otto figli. La madre dei ragazzi, Giuditta detta Ditta, ha modi spicci e parla un italiano colorito dal dialetto locale. In cuor suo soffre per non aver conseguito la licenza media e per non avere ben chiaro cosa vuole fare da grande. Alla ricerca del suo posto nel mondo, Giuditta si "consola" recitando i versi di poesie famose. Inoltre, prendendo spunto dall'intento di Marietta, la sua vicina, Ditta si prodiga per convincere gli abitanti della via a realizzare il desiderio dell'amica: costruire un piccolo capitello lungo il sentiero di casa. L'idea incontra subito degli ostacoli, in apparenza insormontabili. A spingere Ditta a darsi da fare sono due momenti ben precisi, attraverso i quali inizia a capire, a osare e a reagire, fino ad arrivare alla concretizzazione del suo sogno. Il romanzo, attraverso le consuetudini proprie della civiltà contadina, ne mette in risalto i valori intrinsechi e i punti cardine, frutto della saggezza popolare e del forte attaccamento alla terra e alla natura umana.
Giuditta è l’io narrante di questo libro.
Oggi verrebbe definita multitasking, ieri, semplicemente era una donna che aveva sulle spalle casa, famiglia e lavoro.
Era il perno attorno al quale ruotava tutta la famiglia, i lavori di casa, cucinare, cucire, l’orto e le bestie da accudire, otto figli da fare grandi con un marito brillante e aitante ma con poca voglia di lavorare.
Ha sempre poco tempo e modi spicci, e il suo cruccio è quello di non aver studiato quindi sprona i figli affinché abbiano un futuro migliore del suo, studiare per essere in grado di parlare e capire, per non sentirsi mai inferiori.
Giuditta ha un dono prezioso: sa ascoltare e le persone hanno fiducia in lei, per gli altri lei c’è sempre, perché sa che quel che dà le verrà ritornato.
Il racconto di Giuditta ricalca la vita di paese in una campagna nel quale il tempo sembra essersi fermato, la quotidianità ha un sapore antico, eppure siamo negli anni ’80, quando il mondo era già proiettato verso l’immagine, la moda, la pubblicità, il fitness.
Qui, nel paese di Giuditta, tutto questo non è ancora arrivato e la vita si svolge in una via, la piazza con un bar, un alimentare, la chiesa, il cimitero.
La città è a pochi chilometri però distante anni luce.
In questo borgo si creano legami fra le famiglie, i bambini crescono assieme giocando per strada, ma c’è posto anche per i segreti, piccoli o grandi che siano; qualcuno non verrà mai a galla, altri si perdono nelle chiacchere e nelle voci che restano fissate nel tempo.
Ditta rappresenta la saggezza popolare, è il simbolo di quei valori che resistono, del rispetto verso il prossimo e verso la natura che non si insegna ma che si tramanda.
È il sapore di un’infanzia che ci accomuna un po' tutti, abbiamo nostalgia per quegli anni, avevamo poco ma avevamo tutto.
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