Mauro conduce un’esistenza scandita da una famiglia "apparentemente unita", un lavoro modesto e la fuga notturna nei social e nei gialli. La pandemia, pur non fermando del tutto il suo lavoro, ferma la sua mente. La solitudine metropolitana, il peso delle aspettative sociali mancate, la frustrazione della quotidianità si trasformano in micce che accendono il lato oscuro del protagonista. Portato all'isolamento non per scelta, un po' come tutti noi nel periodo nero del lockdown, assistiamo alla sua ossessione crescente, per tre giovani donne — Emily, Flora e Christelle, le sue ambigue "Tre Grazie" — catalizzatore di un lento e inesorabile deragliamento interiore, un viaggio verso un delirio fatto di desideri repressi e inespressi.
Nonostante la cupezza del tema, Zucchi dosa con maestria ironia e malinconia, inserendo sprazzi di grottesco e tragicomico che richiamano la vena agrodolce di alcuni registri italiani. I capitoli brevi, quasi episodici, conferiscono alla narrazione un'andatura da serie TV. Con la sua prosa limpida e incisiva, ci invita a riflettere su quanto sia fragile l'identità umana e quanto sottile sia il confine tra adattamento e implosione. Mauro è lo specchio di chiunque si senta costretto a indossare una maschera di fronte a una realtà che non coincide con i propri sogni. Devo essere sincera a volte mi sono persa, ma non per colpa dell'autore ma forse il tema centrale del lockdown che mi ha fatto rivivere inconsciamente un periodo non felice.
Lettura non certo leggera, che consiglio a chi ama i romanzi che esplorano le zone d'ombra della psicologia umana, i confini della normalità e il lato oscuro che può celarsi in ognuno di noi.
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