Miraggi Edizioni, 2021
Pagine 128 – prezzo cartaceo 6.99€ – 12 €
disponibile in tutte le librerie e negli stores online
Pallido Rifugio è una grande casa vittoriana sospesa su una scogliera a picco sull’oceano, dove si ritrovano una ex tennista, un giovane scultore di successo, una madre che ha perso le tracce della figlia e un giovane affetto da una rara malattia che gli rende la pelle blu. Tutti hanno risposto a un annuncio sul giornale, accettando l’invito del fantomatico e irreperibile proprietario della casa, tal Felice Hernandez, a trascorrervi un periodo in cambio della redazione di un diario del loro soggiorno. Tutti hanno i loro motivi per fuggire, per isolarsi in un luogo letteralmente alla fine del mondo. Ma in quella casa persino il tempo sembra scorrere in modo diverso… Sembrano i perfetti ingredienti per una classica storia del mistero, ma qualcosa non torna. Ben presto l’intreccio dei racconti dei protagonisti si rivela un altro e più profondo viaggio, che trascina il lettore nella regione dei fantasmi della mente, nel pozzo delle ferite dell’anima, della sofferenza da cui soltanto può nascere la felicità. O la possibilità di essere almeno qualcosa. Qualcosa più di niente. Mìcol Mei, mettendoci sulla falsa strada del romanzo di genere, costruisce un testo acuto e dolente, una sceneggiatura necessariamente frammentaria sul riscatto e sulla speranza che nasce dalle cicatrici di ciascuno, perché il richiamo del dirupo è forte, ma il percorso della vita non è scontato né predeterminato.
Ne “Il richiamo del dirupo” la protagonista, oserei dire, è una grande casa vittoriana in cima a una scogliera a picco sull’oceano: è soprannominata il “Pallido Rifugio” e di volta in volta sprofonda “di qualche centimetro verso il baratro”. Ciononostante, quando l’eccentrico proprietario Felice Hernandez ingaggia come agente immobiliare la sua amica, la signorina Siviero, affinché la metta in affitto, molti sono coloro i quali rispondono all’annuncio: cosa singolare se si considera, in aggiunta, che gli ospiti accettati devono necessariamente essere tormentati da qualcosa.
La narrazione procede in modo “destrutturato”: non c’è apparentemente un filo conduttore in quanto essa procede per schemi narrativi legati ai quattro ospiti che vengono, alla fine, selezionati. Ogni personaggio, vincolato alla scrittura di un diario nei tre mesi della propria permanenza, ci si presenta con il proprio vissuto che non è di facile lettura poiché esternato tramite ricordi, reminiscenze del passato, illusioni della mente e sensazioni spesso frammentarie e grottesche poiché affioranti da ferite dell’anima o da esperienze in parte rimosse. Il tutto è reso ancora più (sinistramente) suggestivo dalla presenza di poesie e dischi messi ad hoc nelle camere degli ospiti…
C’è del mistero in ogni cosa, anche nel tempo la cui scansione nel Pallido Rifugio è completamente differente dal resto del mondo esterno…
Il libro, nonostante la destrutturazione di fondo, mi ha suggerito l’idea di una impostazione “a cornice”: nella cornice esterna c’è la prima storia, quella da cui inizia tutto, ossia quella del proprietario che mette in affitto, tramite la sua amica, il Pallido Rifugio; nella cornice interna si svolgono le vicende dei quattro ospiti all’interno della casa vittoriana che quindi risulta essere il collante fra la prima e la seconda cornice e, così, di tutta la storia.
Non è una lettura semplice poiché, come dice un’ospite del Pallido Rifugio, “tutto sembra un’allucinazione”.
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