In seguito a una lite con la fidanzata Cece che lo mette di fronte al suo problema, l’apatia, il protagonista, cacciato di casa, va incontro al suo destino imbattendosi nella persona sbagliata al momento sbagliato: un ex compagno di scuola che gli affida una commissione che suona di losco, ma il protagonista, che nulla ha a che spartire con quel mondo marcio, accetta. Perché? Perché dopo tempo sente “un fremito” nella sua vita. Inizia così, un viaggio fra luoghi e affari illegali gestiti da figuri affatto raccomandabili che lo porteranno alla “caduta” letterale dal tetto di un palazzo.
La narrazione in prima persona del protagonista, di cui non conosciamo il nome, è condotta in modo assolutamente lucido nonostante la situazione che vive sia completamente da panico, poiché sono i suoi pensieri narrati durante il suo precipitare verso l’asfalto. Durante la caduta lui, conosciuto con l’epiteto di “uomo di ghiaccio”, ci fa un racconto, oserei dire, stratificato poiché ci fa gettare uno sguardo al suo passato (nel tentativo di una introspettiva spiegazione della sua apatia), ci fa conoscere la sua vita con Cece, la donna di cui si è innamorato, ci racconta della contingenza che gli è occorsa in seguito alla lite con la ragazza e , infine, analizza il momento della caduta in fieri con precisione al punto da concedersi riflessioni a cui nessuno penserebbe, se si trovasse nei suoi panni, preso dal terrore di schiantarsi da lì a poco, come l’osservare che qualcuno al quinto piano ascolta musica idiota ad alto volume; o il domandarsi a cosa stia pensando la gente che si è accorta del suo cadere nel vuoto e così via. Possibile che quest’uomo non provi nulla? Lui stesso, precipitando, analizza: “smisi di emozionarmi per ciò che non volevo affrontare (…). Forse la mia è stata (…) codardia. Soffocare i sentimenti per paura (…). Il guaio è che a furia di sopprimere rischi di non sentire nulla”.
Il viaggio è singolare: riprende in chiave moderna il viaggio di Dante all’Inferno e il protagonista (un ignavo) avrà al suo fianco una guida colta, il Vecchio (moderno Virgilio), mentre tutti i personaggi ci ricordano i diavoli e alcuni dannati che Dante incontra come Ulisse, Farinata degli Uberti, le tre fiere… L’autore non fa mistero delle sue reminiscenze dantesche, anzi lui stesso ci avvisa che l’ispirazione è partita proprio studiando il grande Alighieri. Devo dire che l’ha fatto in modo originale e godibile.
Originale anche la parte finale del romanzo: perché il protagonista l’ha fatto? Perché si è suicidato? E si ritorna alla domanda iniziale chiudendo la circolarità della narrazione: ecco che la caduta, che nel corso del romanzo era “smarrimento della diritta via”, adesso si tramuta in redenzione: il motivo non è legato a motivi etici, morali o esistenziali, ma all’amore, come spiega lui stesso in modo semplicemente disarmante e logico: “Credo che pochi avrebbero da ridire sulle mie motivazioni. Io le riassumerei con una sola e abusatissima parola: amore (…). Il male può essere vinto solo con la forza dell’amore e del bene. Non sono stato bravo coi sentimenti. Ho deciso (…) di sacrificarmi per evitare di trascinare chi mi ha amato in un vortice mortale”.
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