Inanna è Dea della natura e della bellezza, regina dei Cieli e della Terra. È sorella di Ereshkigal che, invece, non è più nulla.
Inanna proverà a discendere negli Inferi per salvarla, perché Ereshkigal è diventata Dea oscura, relegata nel Kurnugi, il Paese del non ritorno.
Inanna dovrà lasciare sette cose di sé in ogni livello infernale che attraverserà per raggiungere la regina delle tenebre.
La disperazione senza fine dei dannati graffia via il meglio di chiunque la attraversi.
Cosa resterà di lei?
Inanna è una rivisitazione in chiave horror del poema sumero “La Discesa di Inanna negli
Inferi”.
Due sorelle, un'ombra e il dolore di dover vivere.
“L’essere umano si era così abituato alla morte che si era adattato a vivere ogni istante sapendo che poteva essere l’ultimo, rallegrandosi di vivere qualche attimo in più”
“Si era così abituato alla morte”
Non è forse questo il male più grande di tutti?
Ereshkigal, dal cielo all’inferno, si abitua così tanto al dolore che ne diventa la regina.
Inanna si abitua così tanto all'idea che la sorella sia diventata un mostro che invece di provare a salvarla, affronta l’inferno con la missione di salvare gli esseri umani. L’idea di redimere la sorella, in realtà, rimane solo sullo sfondo, proprio come la verità rimane sullo sfondo del dolore di Ereshkigal, e proprio come il concetto di vita eterna è da sempre rilegato sullo sfondo più in ombra della coscienza umana.
Per affrontare il dolore bisogna trasformarsi in eroi. Ne consegue una gloria dalla quale non si fugge più. Chi vince il proprio dolore vive nella grandezza. È come una droga, e il suo pusher è la sofferenza. È così facile, invece, abituarsi alla felicità, non richiede nessuno sforzo per essere affrontata, ma ne richiede per essere mantenuta, una mole enorme di umiltà. Infatti, troppo spesso la felicità ha vita breve.
Non voglio fare di questa recensione un trattato di filosofia, anche perché non sono un filosofo. Voglio solo che emerga quanto io abbia seriamente apprezzato l’invito alla riflessione che l’autrice fa nella corposa nota a fine libro.
Dal cielo all’inferno, un voltafaccia per il cuore di Ereshkigal che conferisce alla dea uno spessore non indifferente, è senza dubbio il personaggio costruito meglio.
Altri personaggi, invece, Ninshubur più di tutti, forse avrebbero potuto essere sviluppati un po’di più. Mi sarebbe piaciuto leggere qualche intenso evento del passato della sacerdotessa, qualcosa per conoscerla meglio.
Ho trovato che l’incipit avesse uno stile un po’ troppo “cronistoria” per i miei gusti, ma si tratta di gusti, o forse di esigenza narrativa. Il fantasy spesso richiede un prologo schematico per introdurre l’azione, che potrebbe risultare poco attraente. Il prologo, però, non è L’incipit. Inanna, secondo me, ha un prologo accattivante e un incipit meno forte.
Le descrizioni splatter delle torture e dei demoni regalano immagini vivide. L’autrice non si è risparmiata nell’esercizio di arricchire il doloroso menù riservato ai dannati. L’alchimista di anime è un buon luogotenente infernale, un personaggio che senza troppe descrizioni rimane subito impresso, fa venire voglia di ritrovarlo durante lettura. Tutto il viaggio nell’inferno ci mostra le ottime doti visionarie dell’autrice. Cosa per nulla scontata!
Tra i dannati viene data particolare attenzione ai suicidi, è coraggiosa l’autrice a sondare gli abissi che portano all’autodistruzione. Incontrare l’oscurità nella finzione aiuta ad evitarla nella realtà, è una delle mission intrinseche del genere horror. Complimenti quindi.
Inanna è un opera senza dubbio interessante dal punto di vista storico/mitologico e accattivante dal punto di vista narrativo. Considerando i piccoli appunti sullo stile, tiro delle somme assolutamente positive.
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