«Vieni» disse il ragno alla mosca. «Non correrai alcun pericolo. C'è la rete.»
Era la morte sotto mentite spoglie.
Era l’ombra di una vita che non era più.
L’ombra prima del ragno.
Una voce nei suoi sogni: «~~ ~~, non mi lasciare.»
In quello spazio vuoto, nella sospensione del suono, si celava la sua vita di prima.
Prima.
Adesso, era ragno.
Il titolo mi ha incuriosito: perché “Il passo del ragno”? Perché il ritmo del romanzo procede gradualmente, si articola lentamente allo stesso modo di come il ragno tesse la sua tela, adagio, con pazienza, per catturare la sua preda e ci prepara alla soluzione finale.
Màrila Vannucci, una donna molto riservata e silenziosa, si è da poco trasferita in un piccolo paese; lavora “come responsabile del marketing e della sostenibilità ecologica presso una grossa azienda” che le permette di lavorare in smart working da remoto garantendole la necessaria solitudine.
Francesco Tositti è l’unico medico del paesino dove si è trasferita Marila, anche lui è dedito al suo lavoro e tendenzialmente un uomo solitario.
I due si conoscono, si piacciono e si sposano.
Il registro narrativo di questa prima parte, quello della storia d’amore di Marila e Francesco ha un procedere disteso, nonostante ogni tanto ci siano particolari “stonanti” che, con andamento crescente, pungolano la lettura spingendo il lettore a stare sempre in guardia, poiché si tratta pur sempre di una lettura thriller! Queste note “incomode” sono sottolineate anche da altri tre elementi la cui costante presenza mi porta a considerare anche loro protagonisti: l’ombra, il ragno e la mosca. I primi due parlano in prima persona, l’una è angosciata e angosciante, l’altro sinistramente inquietante e sicuro di sé; al contrario l’introduzione della mosca risulta più morbida, distesa, è inoltre in terza persona quasi a voler sottolineare l’insulsaggine di quest’insetto. C’è nel ragno la consapevolezza di essere un essere superiore, feroce, intelligente e su ciò fa leva per far cadere, senza pietà, nel suo tranello costruito con pazienza, la mosca ignara e stupida. L’ombra, come tale, è qualcosa di fumoso e non teme il ragno. L’ombra ha già avuto la sua dose di dolore nel suo continuo reiterare “fiammeurlasangue”, per lei è tutto estremamente piatto, l’ombra è talmente indistinta che anche nel suo modo di esprimersi l’autrice le dà una voce velata usando l’espediente della parola minuscola dopo il punto fermo.
Necessario anche il paesino di provincia che vortica intorno ai protagonisti, con i suoi pensieri, le sue paure, le chiacchiere di quartiere bisbigliate, suggerite, ventilate… palesate con il timore di ferire o provocare sdegno perché dettate da affetto sincero, come nel caso della mite signora Lucia o della più sanguigna Elvira: “Come in qualsiasi paesino, nulla di quanto accadeva passava inosservato. (…) Tutti sapevano tutto, di chiunque, ancora prima del diretto interessato quando era possibile”.
Il romanzo lascia, nonostante i suggerimenti seminati sapientemente, il seme del dubbio fino alla fine della lettura dei capitoli intervallati, a tratti, da un “capitolo zero”.
Ben scritto.
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