28 febbraio 2024

RECENSIONE: - "Lacrime di Eternità" - di Elisabetta Tagliati

 




ROMANZO ONIRICO (Saga dell’Abisso)
@2023 – Aurea Nox
ISBN 979-1281625075
393 Pagine
Formato: 17.78 x 2.26 x 25.4 cm
Prezzo: 18 euro
Sito web: https://www.elisabettatagliati.it/lacrime.html

DESCRIZIONE
Un salice. Una donna. Una storia che non si può dimenticare.
Bethel, Capoclan Celta, assiste alle conseguenze del suo operato attraverso i rami di un salice.
Lo spirito della donna non riesce a darsi vinta davanti all’incombere di una furiosa guerra tra i propri figli, un conflitto che risiede tanto tra le due fazioni della popolazione quanto all’interno dei protagonisti.
Volontà, ispirazione e amore si scoprono essere le forze più dirompenti e magiche a disposizione dell'uomo, capaci di trascendere la carne, il tempo e lo spazio.
Un romanzo onirico profondamente intimista e simbolico, che offre allegorie preziose e sensibilizza verso il legame dell’uomo con le proprie radici, situate tanto nelle profondità del sé quanto nella Natura.




Lacrime di eternità è il sequel di Oltre l’abisso, di Elisabetta Tagliati.

Nel primo volume, la protagonista Bethel, capoclan dei Tallach, fa da filo conduttore al concetto di amore che da terreno-materiale si evolve nella sua forma pura e assoluta. Anche in Lacrime di eternità la protagonista è Bethel, ma ormai “lo spazio e il tempo cadono rivelando che solo l’Essenza ha valore”, così lo spazio e il tempo della donna-Bethel si sono conclusi, ma non la sua Essenza che la porta a dire: “Io sono. Di nuovo” e che si materializza sulla terra in salice. Così Bethel diviene un frammento pensante di eternità, ma che non può esprimersi o agire e ciò causa una spaccatura in lei fra l’essere-essenza in quanto parte ormai di un equilibrio trascendentale e l’essere-terreno ancora fortemente percepito soprattutto quando è coinvolta emotivamente e affettivamente e che introduce uno dei temi, a mio parere, portanti di questo nuovo lavoro della Tagliati: la dualità. Tale tema si ritrova anche in altri personaggi della storia: Makena, per esempio, diviso fra l’amore verso Jarlath che considera figlio e l’amore verso il suo popolo che deve difendere in qualità di capoclan; oppure Duana, essere oscuro e poi apportatrice di luce; ma gli stessi fratelli semidivini, se presi a confronto ci mostrano una dualità: il buono e la malvagia, l’ordine e il caos, l’amore e l’odio… eppure le loro vicende non sono statiche e in quanto tali sono soggette a trasformazione, altro tema del romanzo. La trasformazione ammette il capovolgimento per cui Duana da oscura diviene apportatrice di luce, “sorgente di Verità” e ponte d’unione fra la terra e il cielo (ancora una dualità!) facendo delle donne che si rifugiano presso di lei delle sacerdotesse. È importante questo tema della trasformazione che è legato strettamente al cambiamento dei tempi storici e all’evoluzione dell’uomo, ma in ciò, ancor più, è legata alla figura della donna che risulta essere quella “vincente”, legata e affine al cambiamento (per eccellenza), mentre quella dell’uomo, statica, sembra più legata al mondo in declino, quello che sta sparendo (Vessagh, Jarlath, Makena: “grandi” in dissolvenza). Del resto la stessa autrice suggerisce il binomio donna-trasformazione attraverso la figura del serpente che non abbandona Duana, ormai sacerdotessa: il serpente è simbolo di trasformazione, ma anche di rinnovamento e rinascita. E il sentimento di rinascita ci viene offerto dalla nuova progenie di Bethel che sembra aver fatto tesoro delle vicissitudini degli uomini (in senso lato) ed è pronta a suggerirci l’avvento di un’agognata “età dell’oro” che unisce in modo indissolubile Natura, mondo umano e mondo spirituale.

Anche questo, come il primo, è un libro intenso e denso di una forte simbologia (della quale l’autrice ci dà una delucidazione nella parte finale del libro) che ci offre una lettura scorrevole, ma impegnativa.






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