29 maggio 2024

RECENSIONE: - "Narghilè al mirtillo nero" - di Paolo Murano




Paolo, per molti Paul, racconta la sua storia.
Non la racconta a noi, ma alla psicologa che lo tiene in cura.
Nel lungo viaggio a ritroso nel passato, scopriremo il dipanarsi di una vita di eccessi: risse, droghe, alcol e sesso, che altro non sono che il suo modo per affrontare le grosse insicurezze generate dal padre che lo ha mortificato e sminuito sin da quando era piccolo.

Il romanzo è la confessione sincera e spudorata di un ragazzo che, provato dal difficile rapporto con il padre e dalla prospettiva di una vita senza sbocchi, decide di costruirsi un proprio mondo, fatto di esagerazioni, di eccessi e di smoderatezze che, alla fine, accentueranno i suoi problemi di ansia.

In questo viaggio, lungo quindici anni, vedremo il protagonista trasformarsi da adolescente tranquillo, insicuro e innamorato in un uomo insaziabile, smisurato e affamato di donne. L’assenza di filtri e la mancanza totale di ogni censura ci restituiscono lo scabroso arco di trasformazione di un uomo alla ricerca della propria dimensione, tramite il piacere più sfrenato, quello senza alcuna morale e senza alcuna regola.

Narghilè al mirtillo nero è il diario autentico di una persona incapace di trovare un giusto equilibrio tra le diverse personalità che albergano in lui come, in fondo, in ognuno di noi.




Il protagonista, Paolo, va a visita dalla nuova psicoterapista per combattere i suoi problemi, di insonnia, stanchezza cronica e crisi d’ansia. Per poter comprendere a fondo, però, dice la dottoressa, “Paolo dovrà parlare del suo passato” e subito l’occhio va alla famiglia; la madre sostiene sempre i figli, mentre il profilo che viene fuori del padre è assolutamente negativo: è un uomo con la mania del controllo anche sulla ex moglie che ormai sta da tempo con un altro uomo, ha un umore variabile, è asfissiante e offensivo con i figli, Paolo e Mario. Paolo, che narra in prima persona, odia suo padre e tutta la ribellione adolescenziale non è altro che desiderio di sentirsi amato da lui. Il protagonista percepisce nel padre solo l’uomo benestante che vuole che il figlio continui la sua attività dopo il diploma e il senso di soffocamento cresce in modo esponenziale al punto che, all’ennesimo litigio, Paolo va via. Da questo momento in poi, il giovane uomo condurrà una vita di eccessi e sregolatezze fra alcool, spinelli e soprattutto sesso, tanto sesso: “era tutta lì la felicità”. Diviene sesso dipendente pur non essendone consapevole poiché la nuova vita gli dà quell’identità “altra” che non è sottomessa alla figura paterna: a Londra Paolo diviene “Paul”, addirittura “Paul the Head”, quello senza il quale la festa non funziona e così sarà negli altri innumerevoli viaggi per il mondo. In quest’altra fantastica dimensione è facile dimenticarsi di “Paolo”: meglio essere “Paul”, perché essere Paul significa “libertà”. Ma a conti fatti, nonostante questa libertà, Paul è bloccato e di tutto ciò, per lui, ha colpa il padre che gli ha sempre instillato insicurezza. Grazie al prendere coscienza di ciò, però Paolo inizia a domandarsi cosa vuole davvero fare nella vita, a parte il tanto sesso di cui sono disseminate le pagine del libro: “Io non volevo fare quella vita (…) io non ero quella persona. (…) avevo solo voglia di fare casino”. Prendendo coscienza, forse aiutandolo inconsapevolmente un nuovo sentimento verso la ragazza che gli sta accanto, Paolo esce dalla fase di disordine, inizia a costruire per il suo futuro sia dal punto di vista lavorativo che di guarigione attraverso la psicoterapia. È un percorso difficile dal momento che non è la prima volta che lui l’affronta, ma quest’ultima volta sembra esserci una più matura consapevolezza che potrebbe condurlo alla chiusura del cerchio.

Il processo di maturazione del protagonista è lungo, travagliato nonostante sia disseminato di incontri occasionali numerosissimi e, per questo, testimoni di un disagio interiore non da poco.

Il linguaggio è semplice e schietto.





 

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