biografia
Self-publishing
gennaio 2022
cartaceo
“Sono un contadino. Voglio vivere nella mia terra e prendermi cura di essa”. Era la frase che ripeteva spesso Salvatore, alla gente che gli chiedeva cosa volesse fare nella vita.
Nato e vissuto a Monreale in provincia di Palermo. Ha avuto una bella famiglia numerosa, cercando di prendersi cura dei propri cari, nonostante il suo handicap fisico a volte glielo impedisse. In una Sicilia che tanto gli ha dato e altrettanto gli ha tolto, viene ricostruito il percorso della sua vita: fatti, avvenimenti, narrati dalla voce della figlia Patrizia.
Un tributo speciale a un uomo che ha saputo vivere con coraggio l’incognita del domani senza un futuro certo. Una vita fatta di stenti e piccole gioie, colmata dall’amore incondizionato di quattro figli e dai loro sorrisi. L’amore di una figlia per un padre. Perché anche nella semplicità di zappare la terra esiste la maestosità di un grande uomo.
Non è la classica biografia, ma uno scritto impastato di sentimenti e ricordi: alcuni brutti, tanti così belli da spingere l’autrice a creare un piccolo gioiello letterario. Come riesca, poi, a mantenere un linguaggio semplice e asciutto e, nello stesso tempo, a scatenare emozioni forti credo che sia da addebitare al fatto che, nonostante sia la voce narrante, l’autrice è anche una dei coprotagonisti del libro.
Nel libro, la vita e gli umori della famiglia Li Vecchi è scandita dalla natura e dalla sua poca o tanta generosità: Salvatore è “un uomo dei campi”, un contadino, e come tale vive di ciò che il suo fazzoletto di terra a Pezzingoli, gli dona. È un uomo buono, che cerca di fare il meglio che può per la sua famiglia composta dai quattro figli e dalla moglie Luigina; quest’ultima è la compagna amata, “una brava moglie”, ma è “fatta a modo suo”: poco espansiva, è quella che dispensa botte e punizioni, è dura con i figli, soprattutto con Patrizia che, invece, è la preferita di Salvatore. È, quindi, anche la storia di una famiglia con le sue incomprensioni, i suoi giorni no, le sue piccole scaramucce fra le mura di casa.
Salvatore affronta ogni giorno con grande dignità, con il sorriso sulle labbra e la voglia di cantare: “nel frattempo cantava sempre (…) le canzoni di Domenico Modugno. Cantava ogni momento della giornata, anche quando avrebbe dovuto piangere o essere triste. Cercava di non esserlo mai”.
Nelle memorie dell’autrice è visibile anche la grande umiltà di suo padre nella descrizione delle piccole cose: “dava sempre i nomignoli di fantasia alle cose o agli animali”, avendo chiara la percezione che, uomini o animali, siamo tutti figli della stessa terra.
Sullo sfondo delle vicende, il tempo che passa è cadenzato dal cambiamento della società siciliana: Pezzingoli che va popolandosi sempre più di casette; l’apertura di un supermercato con la conseguente chiusura di alcune piccole attività; nuovi ritrovati “tecnologici” come la torcia a pile al posto della lampada a olio o le pompe moderne per abbeverare i campi… tutto cambia, tutti crescono… anche Patrizia che, dopo l’ennesima incomprensione con la madre, abbandona la Sicilia insieme al suo futuro marito, lasciando un vuoto incolmabile in Salvatore: “non riusciva nemmeno a respirare. Gli mancava l’aria. Gli mancava l’unica ragione per sorridere”.
E poi… e poi il cerchio si chiude e tante cose vengono comprese o perdonate quando è tardi. Ma il grande cuore colmo d’amore di Salvatore ha insegnato anche questo a sua figlia Patrizia: la bontà d’animo, l’atto d’amore che le permette una riconciliazione post-mortem con la madre. Riconciliazione e rimpianto. E amore. Tanto, tanto amore tangibile nelle parole dolci e accorate dell’autrice negli stralci finali del suo diario: “E io qui, oggi, mi sento di dirvi che mi mancate tanto mamma e papà”.
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