Ciao Anime Belle oggi torna con un nuovo appuntamento "La Rubrica delle Emozioni - Quattro chiacchiere con gli autori"
Ospitiamo con piacere nel nostro spazio dedicato alle interviste Domenico Di Pinto, autore di “Vite Intrecciate”, romance M/M della casa editrice GDS Edizioni.
Ciao Domenico, parlaci un po’ di te e di quando e come è iniziata la tua avventura con la scrittura di romanzi.
Ci sono scrittori disciplinati, metodici, che stilano scalette e rileggono mille volte i loro scritti, tu che genere di scrittore sei?
Dunque, innanzitutto il piacere è mio per avermi dato l’opportunità di farmi conoscere anche da questo punto di vista ai tuoi lettori. Grazie, davvero. Detto questo. Mi definisco uno scrittore con uno stile metodico, proprio perché mi piace essere ben organizzato e seguire una linea lavorativa ben precisa e programmata. Ma questo stile, o comunque abitudine o atitudine, l’ho acquisita nel tempo, sicuramente nella fase di stesura del primo libro. Vado molto a sensazioni, quindi quando mi venivano idee o pensieri, e nella mia testa si ricreavano situazioni che potevano trainare il punto di alcuni capitoli, allora buttavo tutto quanto giù senza darci troppo peso o pensarci molto. Una volta iniziato l’editing poi ho cambiato tante cose, così come ho cambiato atteggiamento e predisposizione nello stile. Anzi, essendo che il primo volume della trilogia MM ha subito un lavoro di editing corposo, ho ri-scritto praticamente il primo libro. E quindi, in quel momento ho imparato ad usare un metodo equilibrato e programmato, Oggi, sicuramente con altri romanzi, seguo un metodo preciso con scalette, strutture, personaggi costruiti con attenzione e nel far calibrare pregi e difetti dei protagonisti, o ricerca, studio, attenzione massima, anche perfino nel scegliere dei nomi, perché nel tempo ho capito che i nomi sono importanti quanto l’intera storia: racchiudono un significato. Insomma, sicuramente sono uno scrittore stacanovista e molto organizzato e attento.
Segui orari precisi per scrivere? Hai un luogo preferito in cui lo fai?
Orari precisi non direi perché vado molto a sensazioni come ho già detto prima. Ricordo che nella fase di editing scrivevo e lavoravo molto durante le ore pomeridiane, dopo il mio turno di lavoro, col caldo: era estate, mi armavo di un bel bicchiere o la bottiglia intera di acqua fresca, ventilatore e al pc fino a sera, spesso. Anzi, alle volte anche fino a tarda notte, ma soprattutto in periodo invernale mi succedeva di più, sono sincero. Forse il momento che sicuramente preferisco di più è scrivere la notte: il silenzio, la pace della casa, la tranquillità, il momento in cui nel mio cervello si materializzano scene e devo assolutamente buttare giù tutto quanto sulla tastiera! Ora, purtroppo, per via del lavoro e altri impegni, sto veramente ( cosa che mi dispiace anche tanto) scrivendo molto poco, cosa che in realtà dovrei fare. Diciamo anche che questo caldo non mi aiuta, così come anche ora che sto rispondendo alle domande e il ventilatore, in qualche modo, cerca di mediare la situazione. Un luogo preferito dove scrivo? Ehm… la mia stanza, anche perché qui creo le mie storie, i miei mondi e tutte quelle diavolerie che mi passano in questa mente creativa e molto disordinata (rido per non piangere!), Poi spesso negli ultimi anni, forse prima della pandemia, scrivevo molto in una caffetteria della mia città: mi piaceva il connubio tra un luogo pubblico e la scrittura: l’odore del caffè o del primo o secondo cappuccino, magari con qualche torta deliziosa a fare da contorno, la gente attorno a me perché sono ispirazione, mi piace prendere spunto o osservare molto i dettagli delle persone quando chiacchierano tra di loro. Sembrerà strano perché quando si deve scrivere bisogna essere concentrati e in un luogo silenzioso, però con me si aveva un effetto contrario: riuscivo a scrivere anche con la gente che parlava o i camerieri che andavano avanti e dietro per le comande giornaliere. Anzi, spesso ho anche scritto al McDonald’s, tra chiasso infernale dei bambini e odori abbastanza discutibili. Ecco, sicuramente sono uno scrittore adattabile, nel senso che si cura ben poco di dove si trova perché se c’è ispirazione, allora avviene la “magia”, avviene la concentrazione giusta. Poi, mi piace l’idea di scrivere in un luogo pubblico, fa molto stile “scrittore americano” che solitamente scrivono nelle caffetterie, ristoranti o nei parchi all’aperto.
Secondo te quanto c'è dell'autore in ogni protagonista della sua opera? Cosa c’è di tuo nei protagonisti?
Secondo me, per come la vedo io, in ogni romanzo c’è dell’autore/rice in ogni protagonista della storia. Cioè, se è soprattutto la prima opera, la prima storia scritta, è quasi impossibile non scrivere di se stessi in un romanzo. Sicuramente c’è chi sa giostrare bene la questione perché magari ha le capacità per farlo meglio dopo essersi formato da autodidatta. Però molti scrittori e scrittrici secondo me scrivono di loro stessi: delle loro esperienze, del loro passato o presente, e chissà, magari anche futuro, scrivono dei loro momenti “no” e quelli “sì”, raccontato le loro storie, o meglio, alcuni sanno camuffare tutto quanto facendole raccontare, si fanno prestare la voce da loro e raccontano di loro, ma sempre in maniera del tutto equilibrata e romanzata. Cosa c’è di mio nei miei personaggi? Oddio, sicuramente sì, c’è di me. Soprattutto nel primo romanzo, e in particolare nel protagonista principale Adam Donovan, c’è tanto di me stesso, o meglio, c’è quella parte che ero ma circa, cinque o sei anni fa: si cresce, per fortuna! Comunque c’è di me e non c’è di me. Magari ho raccontato cose che mi sono accadute realmente o che ho vissuto indirettamente, o magari ho usato termini o modi di pensare che sono come i miei, o magari ho mentito e vi ho fatto credere il contrario. Chissà… mi piace creare curiosità e mistero nei lettori, soprattutto in chi non mi conosce e si vuole fare un’idea di me: vi lascio pensare questo, ecco. Mi piace mettere disordine, creare confusione così da potermi permettere di raccontare di me ma nello stesso tempo non raccontarvi di me. Sì, è un discorso contorto il mio, ma è ben lineare con me stesso.
È difficile "tenere a bada" la tua voce durante la stesura? Come riesci a entrare nei personaggi e a staccarti dal tuo modo di vedere la vita per esprimere il loro?
Bella domanda anche questa! Partiamo dal presupposto che amo scrivere, da sempre, in prima persona, quindi i miei personaggi si raccontano attraverso stati d’animo altalenanti, o nel mezzo delle loro rocambolesche avventure o sventure della vita. Non c’è mai una voce narrante o il : “Dio che gli osserva e li condanna e li giudica dall’alto”. No, non era questa l’idea che volevo dare con “Vite Intrecciate” ma onestamente, non lo sto facendo nemmeno con gli altri lavori in corso perché preferisco che i miei personaggi si facciano conoscere attraverso loro stessi: da soli, in qualche modo. Quindi, la mia voce c’è, indubbiamente è lì, però io “uso” loro a volte, per raccontare di me stesso o di come io potrei comportarmi in situazioni probabili o come non potrei comportarmi, soprattutto con il protagonista principale: difficile non dire la tua, questo sì, ma bisogna anche saper calibrare e giocare su tutto questo. E forse, proprio questo mi permette, in maniera assurda e alle volte contraddittoria, il riuscire a non manipolare le loro menti, quindi a non sentirmi il Dio padrone delle loro vite. Ho avuto a che fare spesso con personaggi che non hanno minimamente niente a che fare con me come persona. Zero. Cioè, con alcuni volevo veramente farli fuori. Che pensandoci, potrei anche farlo, ma non è questo il punto, ora. Eppure, sono riuscito a entrare nei personaggi, a strutturare le loro caratteristiche, e a farli raccontare di loro senza che io ci mettessi il naso, le orecchie e la bocca. Ho pensato loro semplicemente come persone diverse da me, anche quando devo descriverle in prima persona: non ho voluto farmi condizionare da come avrei reagito io perché si sta parlando di loro: devono essere loro a farsi notare, amare e odiare con i loro difetti e pregi, secondo me. Lo scrittore deve sempre essere quell’ osservatore e non il protagonista stesso/a della storia.
“Vite Intrecciate” affronta la tematica della scoperta della propria vera natura e anche della riscoperta. Perché hai scelto di parlarne?
Sì, esatto. “Vite Intrecciate” affronta un tema molto importante e delicato e che, senza girare intorno, mi sta a cuore e mi appartiene totalmente. Ho scelto di volerne parlare perché in primis l’ho vissuta in prima persona anni fa durante il periodo di accettazione e presa di coscienza di me stesso. Poi perché mi piaceva la tematica, una tematica che spesso, a mio modo di vedere le cose, viene fin troppe volte strumentalizzata e resa, a volte, banale, scontata e piatta: senza personalità e realtà dei fatti. Sono dichiarato da anni, so cosa significa quando ti ritrovi nella vita a dover fare i conti con te stesso. A dover capire chi sei, cosa vuoi o cosa vuoi essere da grande. Quindi, tutte le fasi che Adam e non soltanto lui (non faccio spoiler) vivrà nella sua storia, dal primo all’ultimo, in qualche modo io le ho vissute tutte. Probabilmente in maniera forse differente alcune cose, o comunque alcuni risvolti sono ben diversi dalla vita reale, però posso ben assicurarvi che so cosa sta passando, tra dolori e gioie, accettazione e paura, dubbi e perplessità, so, conosco e capisco quello che Adam affronterà durante tutto il cammino di accettazione. Una tematica così, quando si racconta, per come la vedo io, bisogna conoscerla fino in fondo, bisogna sapere davvero cosa può provare, esempio: un ragazzo che viene insultato per strada o si sente inferiore essendo “diverso” dagli altri. Si deve sapere realmente cosa sta vivendo, non si può soltanto costruire un personaggio, basarsi su cose lette o dette, creare il personaggio adorabile e vittima perenne di tutto e far credere ai lettori/rici di conoscere quella realtà, di conoscere veramente quello che il protagonista sta vivendo. Certo, la fantasia e creatività hanno il loro compito qui, ci mancherebbe, soprattutto se sei uno scrittore o scrittrice. Ma non basta! Bisogna avere coscienza di ciò che si dice, bisogna sapere che se si racconta del mondo “gay” e dell’accettazione, discriminazione, bullismo, violenza fisica e verbale, allora bisogna conoscerne le cause e non parlarne solo perché fa “figo” un romanzo, o perché può farlo diventare un best seller! Mi dispiace dirlo, ma spesso leggo cose inesatte sulla mia realtà in quanto ragazzo gay e felicemente dichiarato. Leggo di realtà distorte, finte, camuffate, stereotipate, piene di pregiudizi e contraddizioni. Si racconta di un mondo spesso popolato da trasgressioni in seguito alle caldane ormonali dei protagonisti. Certo, ovviamente anche loro fanno sesso e gli piace farlo, ci mancherebbe! Però non bisogna delineare l’intero tratto di un protagonista o personaggio solo su quel punto di vista e forzare continuamente i capitoli con scene di sesso buttate lì, a caso, così, per creare simpatia e momenti di frizzantezza totale. Sono del parere che bisogna ponderare, bisogna raccontare bene le cose, sdoganare anche dei preconcetti che l’uomo gay, nei romance, film, serie tv, sia solo o la vittima continua di tutto o una macchina del sesso. E vi stupirà, ma spesso anche gli uomini gay sanno amare, hanno un cuore, strano, ma vero. Cosi come anche che non fanno sesso tutti i giorni o hanno il sesso in testa come precursore continuo. Qualcuno doveva dirlo. Perdonami se mi sono preso questo spazio per dire questo mio pensiero, ma ci tenevo da tempo a voler dire la mia sull’argomento perché ho visto troppo estremismo sulle vite dei gay nei romance M/M o a tematica LGBTQ+. Quindi, quando ho scritto questo romanzo sapevo benissimo quello che raccontavo attraverso Adam perché per primo l’ho vissuto. E se l’ho fatto, con cognizione di causa, era perché chi l’avrebbe letto, e si fosse trovato in quella situazione difficile e particolare della propria vita avrebbe forse capito cosa fare o come avrebbe dovuto comportarsi in certe dinamiche. Una specie di “guida” nel percorso dell’accettazione ma dal punto di vista soggettivo e reale.
Quali sono state le scene più difficili da scrivere in “Vite Intrecciate”? Perché?
Dio! Sicuramente ci sono state tante scene difficili da scrivere in “Vite Intrecciate”! Attenzione, probabilmente ci saranno SPOILER in questa risposta: siete stati avvisati. Ci sono tante che ricollego a dei momenti personali e altre no. Probabilmente quelle difficili sono state quelle in cui Adam, durante un percorso terapeutico e psicologico, si confessa e racconta tantissimo di sé stesso, cosa che in verità faceva poco con tutti quanti, o magari, soltanto con le persone a cui era più legato. Quindi, per la prima volta, in vita sua, si ritrova a raccontare della sua infanzia, adolescenza, il suo sentirsi inferiori a tutti, il suo sentirsi emarginato e messo all’angolo, il suo sentirsi incompreso, spaventato e preoccupato di un futuro incerto, il suo sentirsi distrutto e dilaniato da fantasmi che si porta dietro da tutta la vita, il suo sentirsi da sempre inadeguato, inadatto, come scomodo per tutto e tutti, il suo sentirsi “diverso” e quindi rigettare, rinnegare, disprezzare quella parte di sé, anche se a conti fatti, poi, riuscirà anche ad abbracciare e a proteggere. Tutto questo e molto altro, lo farà, per la prima volta con una persona estranea. Insomma, queste sono state le scene e i capitoli forse più difficili da delineare e scrivere perché non c’è più quella maschera arrogante e dell’apparenza che lui mostra agli altri. Anzi, viene buttata a terra, a fatica, all’inizio, e viene fuori la persona e non il personaggio. Viene fuori la parte bella e che negli anni, complice il fatto della società in cui vive, ha tenuto nascosta e quasi ibernata per paura del giudizio degli altri. Assieme a queste ci sono anche le scene in cui si confida a cuore aperto con sua madre, Susan, la quale ci viene mostrato un rapporto importante e indissolubile, o anche quando fa coming out con Chris (migliore amico e co- protagonista) o quando tra loro avvengono situazioni che metteranno Adam nel punto di rivalutare sé stesso, o quando si dichiara alla famiglia, e subito dopo dovrà affrontare la reazione aggressiva di un padre chiuso e limitato di mentalità. E tante altre situazioni che in qualche modo, per come la vedo io, sono le più belle e realistiche perché ti mostrano il vero io interiore di Adam. Le ho scritte di petto, di cuore, ma sono state difficili perché non minimizzano su nulla ma mostrano ciò che Adam è.
Molti autori non riescono più a leggere i loro romanzi dopo averli scritti. È capitato anche a te?
In verità no. Anzi, sul mio comodino c’è la copia cartacea del mio romanzo, e ti dirò, fa ancora strano dire “il mio romanzo” forse perché ho sognato praticamente da sempre questo momento che alle volte, ancora, faccio fatica a credere di esserci riuscito. Detto questo, sto leggendo la storia, anche complice il fatto di scovare refusi o magari errori di stampa, ma anche per entrare nella storia, vivermela ormai da lettore e non più da autore. Mi sono ritrovato a imprecare perché, soprattutto Adam, fa delle cose e scelte bizzarre che vorrei veramente ucciderlo o perlomeno riempire di schiaffi! Così come anche il co- protagonista della storia, la spalla di Adam, Chris, che non è uno stinco di santo nemmeno lui. Insomma, mi sono ritrovato ad empatizzare con entrambi, forse sono di parte più per “mister. Donovan” lo so, però sono riuscito a capire e comprendere anche Chris, e anche qualcun altro del mondo pazzoide della “mia” Seattle. Quindi, rispondendo alla tua domanda: no, ancora non mi è capitato di non voler più leggere la mia storia. Durante l’editing l’avrò riletto praticamente 3 o 4 volte. Però posso anche dirti che credo che una volta che terminerò la trilogia, metterò tutto quanto nella mia libreria e chi dovrà leggerli non sarò più io ma qualcun altro, spero. Una generazione che crescerà: dei piccoli successori di me o le mie nipotine. Insomma, qualcuno leggerà le cazzate che ho scritto da giovane.
Accetti le recensioni negative? Oppure ti buttano giù?
Certamente! All’inizio non ero abituato a ricevere attenzioni, pareri e recensioni sul mio romanzo, perché tendi a proteggerlo e a difenderlo con tutto te stesso: è inevitabile. Poi, col tempo, dopo le prime due o tre, sono arrivate le altre: ho imparato a non farmi condizionare molto dalle recensioni in generale: che siano buone o cattive. Ho capito che quando ti metti in gioco pubblicamente, e lo fai senza limitazioni o falsificazioni, allora, nel bene e nel male devi essere pronto a tutto! Potrai trovare chi amerà e comprenderà a pieno la tua storia e i personaggi, o chi invece non amerà e comprenderà i personaggi. Che poi, ovviamente, amare è una condizione soggettiva: possono piacere come possono non piacere. A volte, non ti nascondo che me la sono presa quando non veniva capito Adam, quando veniva criticato per il suo essere troppo diretto, impulsivo e incoerente. Sì, mi infastidiva perché non si riusciva ad andare oltre tutto questo, come se Adam fosse solo quello e invece no, non è così: c’è un mondo inesplorato. Incasinato? Sì, ma c’è un mondo dentro quel ragazzo. Poi col tempo ho capito anche di chi voleva farmi dei complimenti e mi faceva sentire importante e grato, e poi anche chi mi criticava tutto quanto senza magari coglierne l’aspetto importante della critica stessa, ma focalizzare tutto quanto nel distruggere e mettere in discussione tutto quanto. Poi, sempre in questi mesi, ho capito anche di chi mi fa recensioni anche negative, ma con delle forti critiche costruttive e importanti per la mia crescita come scrittore. Insomma, vado anche a seconda dell’umore ovviamente. Però solitamente ho imparato a capire che non viene criticato “Domenico persona” ma Domenico autore e scrittore, e che, appunto, come già avevo detto, può piacere come non può piacere. Forse, forse, l’unica cosa che non mi piace è quando deve esserci una persona X o anche blogger che deve criticare quello che hai fatto e lo deve fare solo per il semplice gusto di metterti in imbarazzo o in difficoltà. In quel momento non mi fai crescere se mi critichi su aspetti che, fin dei conti, sono poco rilevanti per l’intero concept. E niente, con gente così ci fai l’abitudine: si ringrazia, perché sei educato e passi al successivo.
“Vite Intrecciate” avrà presto un seguito?
Certo che sì! Come ho annunciato prima nelle precedenti risposte, “Vite Intrecciate” è una serie, composta, appunto, da tre volumi. Il primo è uscito quest’anno e credo prenderà bene o male gran parte, forse metà. anche del 2023, perlomeno perché essendo il primo romanzo che pubblico voglio capire il feedback che genererà dopo un anno dalla pubblicazione. Il secondo, “Vite Intrecciate” cinque anni dopo vol.2, onestamente non so quando uscirà. Posso dirvi che mi sono preso tempo per terminarlo e creare un percorso di tracciamento e continuum con il primo volume della serie. Ho iniziato a lavorarci dopo e durante l’editing del primo, ho buttato giù idee, situazioni, ho delineato scalette, struttura, personaggi nuovi, se ci saranno, ho creato l’intreccio di vite nuovamente e una trama totalmente diversa dal primo. Se il primo era molto improntato sull’accettazione e rinascita, e rapporti interpersonali burrascosi di Adam con gli altri, il secondo avrà un imprint più “serio”, incentrato su qualcosa che riporterà totalmente i personaggi principali in un punto di “partenza” perché c’è da considerare che avverrà un salto temporale di cinque anni in avanti e quindi vedremo cosa è successo nelle vite di Adam, Chris e tutti quanti. Una bella sfida perché ho potuto anche cimentarmi con lo stesso genere ma anche adottare dei cambiamenti e situazioni totalmente diverse rispetto al primo.Quindi, il secondo, se tutto procederà dritto e spedito, potrebbe uscire praticamente nel 2024, prima non ne sono sicuro, ecco. Il punto è che ho preparato tutto il progetto intero della serie “Vite Intrecciate” vol 1- 3 e possibile spin- off di uno dei personaggi (forse). Ho delineato la storia, la scaletta pronta, la struttura da come è iniziato nel primo e come si concluderà nel terzo con il finale: tutto pronto, devo soltanto scrivere e finire il secondo e terzo e poi pronti per la pubblicazione a cadenza di periodo. Sentirete quindi ancora parlare di Adam e Chris…
Continuerai a trattare le tematiche LGBT nei tuoi romanzi futuri o hai in progetto di scrivere anche altri generi?
Sì! Sicuramente tratterò ancora della tematica LGBTQ+, soprattutto romance M/M. Difatti, proprio dall’anno scorso ho iniziato a scrivere un nuovo romance con queste tematiche e che racconta ovviamente una storia d’amore tra due uomini, però ha sfaccettature e colori totalmente diversi da Vite Intrecciate. Al momento è in fase di scrittura e verrà pubblicato, fortunatamente, da una CE molto carina e fresca l’anno prossimo. Sono molto entusiasta e anche curioso poi di vedere la reazione a questa nuova storia che comunque, come piace definirla a me è “inedita”: sembrerà scritta da un’altra persona e non da me. Detto questo, per il momento continuerò a trattare questa tematica, però in futuro mi piacerebbe spaziare e giocare molto sul genere crime e mistery, anche un thriller o horror, che comunque, alla fine, sono tra i miei generi preferiti. Però bisogna fare pratica, fare ricerche, studiare, perfezionare e poi trovare, dopo aver appreso, il proprio stile.
Un’ultima domanda: Qual è il libro a cui sei più legato e che magari ti è stato d’ispirazione?
Ci sono tanti libri a cui sono legato tanto. Tra i tanti c’è la saga di Harry Potter ovviamente! Poi seguono i libri di Stephen King, tra i miei preferiti: IT: il pagliaccio, Misery, Carrie, La macchina infernale. Poi ci sono altri autori che stimo e seguo da tempo, soprattutto nel mondo dei romance M/M e tema LGBTQ+. Sinceramente non mi sono ispirato a nessuno quando ho scritto la mia storia, ma questa è una cosa che dico da sempre che non ho tratto ispirazione da nessun altro libro. Però, uno dei miei preferiti per il contesto sociale, culturale, la bellezza dell’arte, dei sentimenti reconditi e serbati nel tempo, dai dettagli puliti e l’epoca storica e le bellezze dell’italia di quel tempo, ma soprattutto della storia d’amore tra i due protagonisti, Elio e Oliver, direi proprio: “Chiamami col tuo nome” di André Aciman. Mi ha lasciato un forte senso emotivo di tristezza e angoscia fino alla fine e anche, lo ammetto, speranza che quei due un giorno possano ritrovarsi e vivere quello che avevano vissuto a metà. Forse loro, nella bellezza della loro semplicità e purezza, mi ricordano Adam e Chris.
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